Dovevo farlo da tempo ma non avevo mai la lucidità necessaria per affrontare un argomento così complesso e mettere nero su bianco qualche considerazione su questo famigerato Rinascimento verde che il nostro ministro per le risorse agricole Zaia ha proposto per far tornare i giovani all'agricoltura.
Non posso negare che Zaia non si stia muovendo con impegno su molti fronti per tutelare l'agricoltura italiana e anzi rispetto al vuoto degli scorsi anni qualcosa certo si sta facendo: cito solo lo stop di due anni ai neonicotinoidi per fermare la moria delle api e l'impegno per la tutela dei prodotti italiani dalle contraffazioni su tutti.
Comunque questo non mi esime dal fare le mie considerazioni e dall'esprimere alcune perplessità.
In sintesi questo Rinascimento Verde consiste nel censire tutte le terre demaniali potenzialmente sfruttabili a fini agricoli per poi darle in affitto a giovani che le vogliano coltivare.
Certo non a chiunque, i requisiti indispensabili sono aver meno di 40 anni, praticare agricoltura intensiva e poi spiegare cosa si vuole fare e come si pensa di stare sul mercato insomma usando un termine caro alla new economy occorre presentare un business plan.
Ora prendete i concetto di decrescita e biodiversità e vedrete come questi due fattori che ritengo assolutamente essenziali per uno sviluppo sostenibile non possano essere compatibili con le idee del ministro Zaia.
Ci sono fondamentalmente cinque considerazioni da fare:
1) Spero vivamente che il ministro con il termine intensiva si riferisse semplicemente al fatto che l'azienda deve essere redditizia in rapporto alle dimensioni, perchè per definizione l'agricoltura intensiva è ahimè un'agricoltura "industrializzata" che richiede un alto numero di input esterni (dai macchinari ai fertilizzanti, dai fitofarmaci all'acqua) per aumentare le rese. Si cerca insomma di spremere al massimo le possibilità della natura, di accelerarne i ritmi, di ridurre i tempi morti e improduttivi, di omogeneizzare le produzioni ossia favorire la monocoltura per abbattere i costi.
Non posso negare che Zaia non si stia muovendo con impegno su molti fronti per tutelare l'agricoltura italiana e anzi rispetto al vuoto degli scorsi anni qualcosa certo si sta facendo: cito solo lo stop di due anni ai neonicotinoidi per fermare la moria delle api e l'impegno per la tutela dei prodotti italiani dalle contraffazioni su tutti.
Comunque questo non mi esime dal fare le mie considerazioni e dall'esprimere alcune perplessità.
In sintesi questo Rinascimento Verde consiste nel censire tutte le terre demaniali potenzialmente sfruttabili a fini agricoli per poi darle in affitto a giovani che le vogliano coltivare.
Certo non a chiunque, i requisiti indispensabili sono aver meno di 40 anni, praticare agricoltura intensiva e poi spiegare cosa si vuole fare e come si pensa di stare sul mercato insomma usando un termine caro alla new economy occorre presentare un business plan.
Ora prendete i concetto di decrescita e biodiversità e vedrete come questi due fattori che ritengo assolutamente essenziali per uno sviluppo sostenibile non possano essere compatibili con le idee del ministro Zaia.
Ci sono fondamentalmente cinque considerazioni da fare:
1) Spero vivamente che il ministro con il termine intensiva si riferisse semplicemente al fatto che l'azienda deve essere redditizia in rapporto alle dimensioni, perchè per definizione l'agricoltura intensiva è ahimè un'agricoltura "industrializzata" che richiede un alto numero di input esterni (dai macchinari ai fertilizzanti, dai fitofarmaci all'acqua) per aumentare le rese. Si cerca insomma di spremere al massimo le possibilità della natura, di accelerarne i ritmi, di ridurre i tempi morti e improduttivi, di omogeneizzare le produzioni ossia favorire la monocoltura per abbattere i costi.
I pessimi risultati di questo tipo di pratica agricola si sono dimostrati negli ultimi 60 anni a partire dagli anni 50 quando lo scienziato statunitense Norman Borlaug (poi addirittura premio Nobel per la Pace...) si inventò la famosa Rivoluzione Verde con l'obbiettivo dichiarato di aumentare le produzioni per le crescenti domande di cibo del pianeta e di porre rimedio alla piaga della fame nel mondo (o forse per ingrassare l'opulenza occidentale e dare nuovi sbocchi di mercato vergini alle multinazionali agro-chimiche e del petrolio).
L'utilizzo massivo di questi input ed l'utilizzo di sole varietà ibride derivate da anni di miglioramento genetico ha portato inevitabilmente a enormi danni ambientali:
-inquinamento delle falde e dell'aria
-impoverimento cronico del suolo per l'utilizzo di concimi minerali e conseguenti problemi di dilavamento
-impoverimento della biodiversità a scapito di varietà autoctone antiche e a scapito dell'ecosistema rurale stesso privato delle sue componenti naturali quali siepi e alberature
Beh, questa non è a mio avviso un modello di agricoltura da sostenere, pur essendo migliorate le tecniche e i prodotti di strada da fare c'è n'è ancora tanta. L'agricoltura chimica è infondo sempre la stessa, un cane che si morde la coda: monocoltura, impoverimento del suolo, prodotti sistemici (che vanno in circolo nella pianta), trattamenti a calendario, l'induzione di resistenze nei parassiti per poi dover studiare sempre nuove molecole di sintesi da mettere in commercio e poi la totale mancanza di quella filosofia essenziale del considerare la campagna come un ecosistema rurale da preservare.
L'utilizzo massivo di questi input ed l'utilizzo di sole varietà ibride derivate da anni di miglioramento genetico ha portato inevitabilmente a enormi danni ambientali:
-inquinamento delle falde e dell'aria
-impoverimento cronico del suolo per l'utilizzo di concimi minerali e conseguenti problemi di dilavamento
-impoverimento della biodiversità a scapito di varietà autoctone antiche e a scapito dell'ecosistema rurale stesso privato delle sue componenti naturali quali siepi e alberature
Beh, questa non è a mio avviso un modello di agricoltura da sostenere, pur essendo migliorate le tecniche e i prodotti di strada da fare c'è n'è ancora tanta. L'agricoltura chimica è infondo sempre la stessa, un cane che si morde la coda: monocoltura, impoverimento del suolo, prodotti sistemici (che vanno in circolo nella pianta), trattamenti a calendario, l'induzione di resistenze nei parassiti per poi dover studiare sempre nuove molecole di sintesi da mettere in commercio e poi la totale mancanza di quella filosofia essenziale del considerare la campagna come un ecosistema rurale da preservare.
Io credo che con idee nuove e dinamicità si possa vivere anche con piccolo appezzamento praticando un agricoltura non intensiva, dove la remunerazione non viene dalla quantità.
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2) L'italia come ho avuto modo di dire più volte in questo blog è un paese sovraffollato e ipersfruttato (forse al Nord più che al Sud) e questo mi fa pensare che strappare alla natura anche queste incolte terre demaniali possa non essere proprio salutare all'ambiente. Piuttosto in alcune zone sarebbe da vedere quanti terreni privati sono incolti o abbandonati da decenni e trovare magari forme di accordo con i proprietari e soprattutto occorrerebbe dare un taglio al mercato del terreno come bene rifugio per personaggi che poi l'agricoltura la vedono in cartolina!
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2) L'italia come ho avuto modo di dire più volte in questo blog è un paese sovraffollato e ipersfruttato (forse al Nord più che al Sud) e questo mi fa pensare che strappare alla natura anche queste incolte terre demaniali possa non essere proprio salutare all'ambiente. Piuttosto in alcune zone sarebbe da vedere quanti terreni privati sono incolti o abbandonati da decenni e trovare magari forme di accordo con i proprietari e soprattutto occorrerebbe dare un taglio al mercato del terreno come bene rifugio per personaggi che poi l'agricoltura la vedono in cartolina!
3) Il ministro sostiene che non verranno privilegiati progetti a baso impatto ambientale ma piuttosto progetti identitari che preservino le tipicità del luogo, bene questo significa che se voglio sperare di avere qualcosa allora in Valpolicella devo piantare ancora vigne, a Parma fare ancora Parmigiano, a Pachino piantare ancora pomodorini e così via: insomma un bel sostegno alla monocoltura di cui sopra e una bella gatta da pelare per chi si butta in mercati già ben strutturati e concorrenziali.
4) L'accesso al terreno è solo uno di una lunghissima lista di problemi che affliggono l'agricoltura: concorrenza estera, prodotti pagati prezzi irrisori, aumento dei costi di concimi e fitofarmaci, caro petrolio, mancanza di formazione ed infrastrutture...insomma da un pezzo di terra non è così semplice tirar fuori un reddito soprattutto per chi è alle prime armi e magari deve anche pensare ad attrezzarsi per condurre il fondo. Sarebbe quindi opportuno studiare dei sistemi per facilitare invece l'accesso al credito per i giovani agricoltori favorendo anche meccanismi di cooperazione tra agricoltori.
5)A dirla proprio tutta mi rompe un po' l'idea di dover pagare l' affitto di qualcosa (per quanto agevolato) e non poter fare il contadino come decido io, anche solo producendo per la mia autosufficienza come fece il buon Seymour. E certo non si può dire che non producesse nulla o che non tutelasse il territorio con il suo stile di vita!
Insomma la patata è bella bollente, a Zaia il merito di aver per lo meno avuto il coraggio di prenderla in mano, staremo a vedere che succede, pare che il Rinascimento Verde sia già pronto a partire.
Ciao a tutti